BOERI E I BOSCHI VERTICALI

La nuova frontiera della ecosostenibilità

In un articolo pubblicato sul Corriere della sera qualche anno fa Vittorio Gregotti riferisce di una tendenza sempre più diffusa fra gli addetti ai lavori a sostenere l’ecosostenibilità in ambiti legati al progetto architettonico, e non solo. Una tendenza che porta ad una possibile interpretazione del termine ecosostenibilità in egosostenibilità, volendo in tal modo sottolinearne l’importanza esclusiva a dispetto del progetto nella sua complessità.

Immagine realizzata con AI del Bosco Verticale di Stefano Boeri

Ne è buon interprete Stefano Boeri quando afferma che “[..] le foreste verticali sono una delle strategie più efficaci per ridurre l’inquinamento e combattere i cambiamenti climatici”. Per questo realizza a Milano due torri, alte rispettivamente 80 e 112 metri, con una cortina di vegetazione in facciata composta di 800 alberi e 15.000 piante perenni corrispondenti 30.000 mq di bosco e sottobosco.

La vegetazione distribuita sulle facciate delle torri segue criteri di natura funzionale ed estetica: sono state studiate le qualità ornamentali e i tempi di fioritura, la potenziale allergenicità, lo sviluppo dell’architettura della chioma e del fusto. Insomma, uno studio accurato che ha coinvolto vari specialisti per la scelta e la messa in opera dei boschi verticali.

Qualche studioso però osserva che le nostre città invase dal cemento non potranno trovare una  soluzione stabile realizzando edifici rivestiti di verde. Bisognerà, invece, ricercare un nuovo equilibrio tra gli edifici e gli spazi liberi, con il ricorso a metodologie passive. Bisognerà pensare alla riscrittura dei tessuti urbani, anche mediante il recupero e la sostituzione di aree abbandonate o dismesse in una nuova concezione della rigenerazione della natura.

Una cortina vegetale in facciata

L’idea del Bosco Verticale è invece quella di creare una specie di ecosistema verticale, dove la natura così interpretata diventa parte integrante dell’architettura e delle infrastrutture. Al contrario delle facciate in vetro o pietra, realizzate in grattacieli per così dire tradizionali, lo schermo vegetale del bosco verticale non assorbe nè riflette i raggi solari, ma li filtra, essendo così predisposto a creare un microclima interno. Vi è però da considerare che le facciate semplicemente in vetro realizzate in altri contesti sono spesso destinate alla captazione solare e svolgono una funzione importante per il risparmio energetico, anche se sono penalizzate nella stagione calda da un eccessivo apporto di calore.

Bisogna anche considerare il percorso storico che ha portato alla realizzazione dei primi grattacieli, a partire dal 1854. Si tratta di volumi compatti con facciate lisce segnate da nervature e riquadri in cemento. Il passo decisivo è avvenuto con lo sviluppo dell’ascensore e dell’ingegneria strutturale. Fra i materiali nuovi di particolare importanza vanno considerati Il vetro in lastre, prodotto su larga scala, e l’illuminazione elettrica. Furono queste le innovazioni essenziali che permisero la costruzione di quei grattacieli che avrebbero disegnato il profilo della New York del XX secolo.

Il grattacielo. Un nuovo ziggurat

Con lo sviluppo dei grattacieli in certe zone di New York, come Midtown o il Financial District, cominciarono ad apparire masse enormi di edifici sviluppati in altezza; cresceva così le preoccupazione per all’impatto dei grattacieli sulla città. Questi edifici altissimi proiettavano delle ombre lunghe e scure. Dai marciapiedi, le strade cominciarono a sembrare sempre più delle gole strette e profonde. Per rimediare a questo effetto negativo e inquietante, a partire dal 1916 la legislazione urbanistica municipale stabilì che la struttura di questi enormi edifici doveva restringersi a mano a mano che questi crescevano in altezza. I profili dei grattacieli assomigliarono così a nuovi ziggurat.

Si potrebbe parlare di mutazione tipologica con il passaggio dei grattacieli da forme semplici e compatte agli ziggurat a gradoni sino ai boschi verticali, soprattutto in considerazione della diffusione di questi ultimi nel modo, seguendo un tracciato di sviluppo prevalentemente tecnologico. Un tracciato non privo di condizionamenti ideologici quando si pongono come elementi fondanti delle città del futuro alcuni linee direttive: la compresenza di diversità, l’affermazione della smart city, l’urbanistica di transizione, il lavoro a distanza.

Meno consumo del suolo

Resta il fatto che il Bosco Verticale ha fatto scuola. Quello progettato da Boeri è stato segnalato nel mondo come opera meritoria, ottenendo il riconoscimento di “grattacielo più innovativo del mondo” dall’International Highrise Award nel novembre del 2014, ed è stato inserito nel Museo d’architettura tedesco (DAM) e nella sezione immobiliare della compagnia d’investimento DekaBank. 

Una delle affermazioni più convinte della priorità di torri e grattacieli su altri tipi di edificazioni si riferisce all’equazione “grattacielo-tutela del suolo”, ovvero alla constatazione che si consuma meno suolo costruendo in altezza. C’è chi sostiene, al contrario, che le attuali proposte di riduzione della densità costruttiva non sono ancora in grado di limitare i consumi di suolo che avvengono ai margini dei contesti urbani. La questione centrale quindi è la rigenerazione della città esistente, senza alcuna previsione di nuova volumetria, che andrebbe altrimenti a influenzare il capitale già immobilizzato

Il Bosco Verticale di Boeri sorge in una zona di Milano che prende il nome di Porta Nuova, una zona in parte recuperata da utilizzi già dismessi e quindi urbanizzata per nuovi insediamenti. Per ogni edificio e per alcuni spazi pubblici previsti viene bandito un concorso di progettazione con l’intento di dare qualità architettonica e urbana a ogni singola parte interessata. I lavori, iniziati a partire dai primi anni 2000, trasformano rapidamente la zona restituendo alla città uno spazio di fatto abbandonato, prima perché relativo ad infrastrutture ferroviarie dismesse, successivamente perché rimasto un non luogo senza una destinazione d’uso.

Dai Boschi Verticali ai borghi

Le proposte di Stefano Boeri non si limitano alla progettazione di Boschi Verticali. Recentemente l’architetto ha presentato un piano per il recupero di borghi abbandonati, precisando che “questo è un progetto nazionale. L’Italia conta 5.800 villaggi con meno di 5.000 abitanti, 2.300 dei quali sono quasi abbandonati. Se le 14 metropoli del paese ‘adottano’ questi piccoli centri storici disabitati, dando loro, ha d agevolazioni fiscali, mezzi di trasporto, ecc… Sarebbe una via d’uscita”

E’ conseguente una prima riflessione: il Bosco Verticale ha una destinazione d’uso prevalentemente residenziale in una zona connotata da edifici inseriti nel settore dei servizi e del terziario, ma al contempo è vicina a complessi residenziali a forte densità abitativa di vecchia formazione. La sua tipologia, nonché il suo apparato formale e compositivo, lo fanno riconoscere come un unicum per il forte impatto visivo, quindi privo di una possibile dialettica con edifici circostanti a destinazione residenziale. Senza considerare che l’impianto progettuale e realizzativo è di impronta largamente specialistica, con una attenzione marcata alle soluzioni tecnologiche più avanzate. Una esposizioni di costi elevati, oltre che nella costruzione vera e propria, anche nella manutenzione ordinaria e straordinaria.

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