Le architetture sottili

Premesse urbane di prossimità umane

di Paolo Marzano

“[…] Da quando una molecola di Dna, lunga 10,4 nanometri, è stata intrappolata dal campo elettrico di un nanocircuito metallico (l’annuncio su «Nature» 2001), la comunità scientifica sta prendendo coscienza che la ricerca fisica del futuro sarà un approccio interdisciplinare e trasversale, condotto — senza più compartimenti stagni — da biologi, chimici e ingegneri, oltre che dai fisici. «I confini sono diventati veramente sottili e tutto sembra preludere a un’interpretazione globale della natura e dei suoi meccanismi di base”. Così iniziava l’articolo di Luigi Dell’Aglio che riportava parole di Roberto Cingolani, direttore del Laboratorio nazionale di nanotecnologia dell’Università di Lecce, che fa parte dell’Istituto nazionale di fisica della materia (Infm). «…Per capire e spiegare le infinite varietà che la natura ci offre, bisogna dunque studiare non gli elementi ma l’architettura secondo la quale sono combinati. E questa architettura può spiegarla soltanto la nanotecnologia». Ora gli scienziati possono esplorare e talvolta imitare le capacità architettoniche della natura, anche nel mondo biologico. Trasformare elementi abbondanti e semplici in strutture complesse che si autogenerano, autoriproducono e autoriparano. Le nanoparticelle potranno trasportare i farmaci in situ, cioè fino al bersaglio. L’industria potrà produrre tessuti, membrane e materiali assolutamente biocompatibili. Potrà essere realizzata l’interconnessione nervo-cellula con sistemi (elettronici) artificiali. Sarà a portata di mano la visione artificiale. Perciò Cingolani è convinto che l’interazione biologico-inorganico sia la forza trainante per lo sviluppo della nanotecnologia. Daniele Mancini, Interaction, Design Institute Ivrea, CICCIO (Curiously Inflated Computer Controlled Interactive Obiet), rassegna Intimacy, Firenze 2003 (foto da n.48 di Metamorfosi). Sono notizie certo che ci proiettano nel più affascinante e sconvolgente mondo del piccolissimo, dell’impercettibile se non dell’invisibile, ma che testimoniano la volontà di ricerca per quanto riguarda il miglioramento della vita nell’esistenza umana. Ancora più attinente al campo architettonico oltrechè concettuale, è stata invece la notizia che sempre nello stesso laboratorio di nanotecnologia dell’Istituto nazionale di fisica della materia di Lecce, si è scoperto un liquido in grado di emettere luce bianca. Rafael Lozano-Hammer, Posicion del miedo, Graz 1997, (foto da n.48 di Metamorfosi). Si sfrutta la formazione di speciali complessi molecolari chiamati ecciplessi, capaci di emettere luce bianca quando tornano dallo stato eccitato (cioè in cui un elettrone è passato a un livello energetico superiore) a quello fondamentale. Con il passaggio della corrente il liquido si illumina, 10 cm. quadrati danno luce come una lampada da 40 watt consumando meno. Il liquido può essere steso su varie superfici permettendo di creare LED organici. Pensate a quale innumerevoli possibilità interpretative ed espressive può dare luogo questa pratica materica e progettuale che è stata scoperta (come abbiamo sempre supposto, la strumetazione per l’intervento dell’architetto si amplia innescando nuovi scenari e possibili nuove relazioni). Un liquido che emette luce, proprio adesso che dalle ultime visioni utopiche dell’architettura e dai progetti fantascientifici che popolano le riviste specializzate, è evidente una fase ‘fluida’ dei corpi costruttivi. I flussi prendono il posto dei volumi dando luogo ad una persistente volontà di un ‘panta rei’ (tutto scorre) generale e letteralmente coincidente con la definizione. Ciò che osservammo in alcuni miei scritti di qualche anno fa specialmente quelli rispettivamente dal titolo Simulazioned’assenzaeLa sogliain dissolvenza,oltre ad essere verificato il complesso limite ‘mediale’ che come vettore informazionale può ‘cavalcare’ possibili strutture spaziali e architettoniche attivandole come schermi nati per caso su superfici piane. Si decompone così, la loro prima funzione d’uso, viene rielaborata l’interpretazione di corpo solido e percettivamente è verificata costantemente la loro presenza nel contesto dell’uomo a ‘contatto’ di un ambiente urbano mutante. Uno scenario alternativo in cui, mai come in questo momento, sentiamo vicino l’altro (sia esso mondo sia individuo), alla nostra esistenza e alla nostra stessa identità. Riflessione che prefigura complicità in atto e complesse mutazioni confluenti. In questo sottile pensiero esiste una mole immane di accezioni culturali che abbiamo già individuato altre volte. L’instabilità di questa realtà sociale è molto più vicina alle caratteristiche umane di quanto si possa credere; le difficoltà di accettazione dell’ altro tanto declamate da teorie architettoniche, filosofiche, cyberpunk, tecnologiche (teniamo presente che la ricerca di questo sacro contatto con l’ambiente esterno, è in sintesi, il concetto base di tutto il ‘900, ) hanno, in questo momento una verifica più che mai coincidente con i desideri, i sogni, le aspettative degli individui. Se nel ventennio passato erano le periferie a sconvolgere le menti degli architetti e funzionavano come tavolo di prova delle scelte architettoniche, ora si sono aggiunte al complesso sistema altre variabili che vedono nell’antico centro la possibilità che esso si ‘esponga’ volontariamente e scardini percettivamente le regole che l’hanno congelato, plastificato incelofanato in un immanente paesaggio invidiabilealla tecnica di Christo. Parcheggio per 20 posti auto, progetto del gruppo R&Sie…, presso la città di ToKamashi, su Arch’it‘architetture’ E’ interessante notare come il nostro tempo sia caratterizzato proprio da questo fenomeno; lo stesso corpo costruito e progettato per soddisfare un’esigenza, molto probabilmente nel futuro, cambierà destinazione d’uso sommando a quella prevista, una destinazione ‘indotta’. Questo, per un processo tecnologico capace di avviluppare precipitosamente strutture già esistenti trasformandole e adattandole a ritmi ed a tempi di fruizione o di gestione nuovi, occupando luoghi imprevisti e schoc-cando; come diceva W.Benjamin nello scritto di Baudelaire a Parigi. L’incontro con sagome e profili architettonici nuovi e alternativi (a me piace chiamarle IBRIDAZIONI architettoniche vedi: Ibridazioni – Le riconversioni funzionali) riapre discussioni tecnologiche e procede a sottolineare la stimolante stagione che stiamo vivendo. Lo schoc (urto indifferente) fisico tra individui che si muovevano veloci nelle vie di una città (non lontano da un contesto letterario dell’ uomo della folla di E.Poe) previsto da Benjamin (ripreso poi in Interazione ‘reale’ o alterazione ‘virtuale’?),riavviva il concetto dell’incontro con l’abitato e lo schoc non è più dell’individuo indifferente, diventa perciò visivo, è l’impatto dell’uomo urbano con la città, ora referente. Bilbao, Fosteritos Metro System di Norman Foster L’architettura in primis entra nel nostro discorso e come sempre diventa l’interprete fondamentale. L’individuo non incontra solo il singolo oggetto della città (un tempo), ma completa la composizione visiva, risolve l’attesa, inquadra contemporaneamente tutta la città, con lo sguardo, badate bene, linka l’urbano, (ora) grazie al potere informazionale la città si sovra-espone alla sua attenzione, questo è ciò che le nuove strutture realizzano ormai IBRIDATE dal tempo tecnologico. Realmente attuano dei link di genere urbano. Questi episodi costruttivi partecipano coralmente ad una fondamentale comunità collaborante e interattiva applicando lo stesso principio di una rete informativa. La natura accorre a specificare e a volte a trovare le giuste metafore; pensiamo un po’ al nostro corpo ed al travagliato mutamento che l’evoluzione sta procedendo continuamente ad attuare, bene, la città è un organismo ed è facile percepire come l’evoluzione, in questo caso, obblighi l’uomo a trasformare parti e aree di essa perché possa evidentemente continuare a crescere. La complessità esiste proprio in questo; c’è l’uomo e c’è la città. Non è semplice avvicinare le due componenti, deve esistere una zona interstiziale che favorisce l’incontro; dall’uomo partono una serie di relazioni ‘sensazionali’, dalla città proviene invece la sua ‘esposizione’ diversificata che permette tali relazioni. Ora, diventa complesso analizzare quali, quanti e di che intensità sono i flussi di queste relazioni. Abituiamoci a osservare da vicino le città in cui viviamo a recepirne fenomeni e a discuterne le possibilità d’interpretazione. di Monica Bonvicini – Dont’Miss, London – Institute, Millbank, 2003, da Exibart n.12 Come sempre è successo nei miei scritti, gli aspetti positivi dell’innovazione architettonica o delle riflessioni intorno a concetti che entrano in processi urbani legati alle nuove tecnologie, vanno messi sul tavolo da laboratorio della ricerca, esattamente come devono essere osservati i suoi limiti e anche gli aspetti discutibili; dai possibili punti deboli riconosciuti, infatti, saremo in grado di essere pronti ad arginare eventuali deviazioni che potrebbero limitare la sua stessa espressività. Guardate come i nuovi grandi progetti degli architetti d’avanguardia e la moltitudine di studenti d’architettura, ormai bravissimi nell’usare le tecnologie più innovative per rappresentare i loro lavori d’architettura, esprimono passione e volontà di evoluzione che arriva, a volte a risultati davvero pregevoli. Ma pensandoci bene, in effetti, osservando le loro proposte e sperimentazioni essi, stanno contribuendo a costruire tanti contenitori o protesi meccaniche-strutturali che verranno poi inglobate o rivestire dalla medialità della realtà comunicativa (sono diverse le tavole di concorsi in cui appaiono già strutture con scritte giganti, sovrapposizioni di immagini e di volti sfocati o appena individuati, ombre interattive, risultati questi, di velocità che viaggiano su superfici indistinte e non in spazi emozionali). Il rischio è finire per creare un’architettura che funge solo da ‘appoggio’ per i veloci prodotti dell’informazione, tali visioni architettoniche possono certo inaugurare ‘ponti’ per il superamento di barriere culturali tra uomini, possono regolare schermi per supportare la mole infinita di notizie e linguaggi mediali. Ma possono determinare una forma effimera di realtà offrendo mondi possibilissimi e allo stesso tempo irrealizzabili. Questi sono i soli termini che definiscono questo concetto? No, l’architettura, diventando essa stessa informazione, deve predisporsi a rivalutare certe sue ben precise caratteristiche. Da questi ragionamenti abbiamo compreso come il rischio che essa corre è proprio quello di trasformarsi nel mitico ‘cavallo di Troia’, praticamente un supporto per funzioni d’uso ‘altre’, passate le quali, l’involucro può benissimo essere riusato o se è rovinato magari distrutto. La nuova frontiera certamente guarderà alla ‘riconfigurazione’ dell’abitare, certamente dovrà affiancare le nuove ipotesi di trasformazione delle città che la nuova realtà multimediale prevede e, a quanto pare, pretende. Sequenze di animazioni grafiche, sul fronte verso Time Square, (foto da n.48 di Metamorfosi). L’altra faccia della moneta informatica, questa volta a nostro favore stabilisce le possibilità delle nuove generazioni che, affilando gli strumenti informatici e le proprietà multimediali, potranno debilitare le incombenti e sempre più probabili direttive per una società controllata, impoverendone così le contaminanti energie prevaricatrici che minacciano il nostro spazio vitale (architettonico!?). Molti più studenti si chiedono cosa c’è dietro la definizione di ‘spazio architettonico’, che magari non viene evidenziato da rendering strepitosi e visioni apprezabili di lavori e progetti astrusi. L’architettura, sappiamo, dallo studio approfondito dei tanti testi sull’argomento, può cadere nell’uso deviato delle sue ‘aure’ informatiche e ‘sublimamente’ rappresentative (vedi: L’ Uomoaltrove, L’Uomo Diffuso, L’Uomo urbano) diventano allora solo immagini di valore rappresentativo vengono fuori delle esperienze complesse in cui generazioni di artisti, designers, architetti hanno trovato il loro campo naturale d’espressione e di ricerca regolando la loro individuale frequenza con il mondo. Si sono determinate così quelle relazionalità che prima o poi dovevano realizzarsi dopo almeno vent’anni che se ne parla e se ne discutono limiti e le possibilità d’individuazione. Ebbene il momento penso che sia arrivato; l’incontro con la scala dimensionale degli interventi sulla città è diventata pratica di ricerca e di progettualità vivifica. Non sono soltanto i volumi, i contenitori o i vuoti che formano una città, sono anche le relazioni tra essi e che l’uomo stabilisce creando nella sua mente l’idea di città come organismo vivente come un riferimento di vita possibile. E’ in questa realtà ed in questo flusso d’equilibri e di relazioni umane che interstizialmente e subdolamente s’inserisce l’informazione sempre più ‘mediata’ e non ‘mediale’. Nella discussione che riguardavel’importanza del predisporsi ad affrontare realtà nuove di cui si parlava in Prossimità di senso inedito, c’è la presa d’atto di una mutazione costante e naturale degli eventi architettonici Ancora prima di stabilire quali e quanti eventi possono essere indicati per seguire una vera e propria tendenza del futuro, bisogna che vengano fuori i riferimenti culturali giusti che guarda caso riguardano proprio quello di cui abbiamo parlato in questi scritti dall’inizio della mia ricerca. Alberto Garutti, Bolzano, Progetto di Arte sul Territorio, Provincia Autonoma di Bolzano 2003, su Exibartn. 12 L’arte è l’iniziatrice di queste visioni, arte è prettamente un’azione umana di relazione all’esistente sia reale sia possibile, nello stesso tempo. Ad essa sono date proiezioni e creazioni di mondi possibili, è il riferimento primo rispetto al qualeanche la tecnologia deve muoversi. Fa benissimo, allora, J.Baudrillard quando in Verità o radicalità dell’architettura, chiarisce che l’architettura non riempie uno spazio, ma lo genera. I modi per attuare questa direttiva? Sicuramente è la sensibilizzazione ai codici dell’arte e ai circuiti interpretativi del linguaggio visivo e costruttivo di realtà nuove, dove ‘nuove’ si legge come mutanti e in evoluzione. Baudrillard sceglie l’esempio del giardino giapponese, una realtà che genera un punto di fuga dove è difficile capire il limite del giardino o la sua infinita continuità. Ma, senza scomodare il giardino giapponese abbiamo esempi di non-finito michelangiolesco, di metafisica pittorica cezanniana, di impressionismo scultoreo medardiano, di linearismo congenito boccioniano che trova altri codici interpretativi e si evolve nella definizione del concetto di Malerischstil wolffliniano. Applichiamo il metodo secondo cui realizzare delle indagini verticali (come dicono gli storici); percependo La forma del tempo, di G.Kubler e La vita delle forme, di H. Focillon, ma ancor di più inEntropia e arte– saggio sull’ordine e il disordine di R.Arnheim, E.Gombrich, J.Hochberg, oppure in M.Blanck, Arte perceione e realtà, e ancora G.Bachelard, La poetica dello spazio e U.Eco(Stefan Collini a cura di), Interpretazione e sovrainterpretazione. Questi testi rappresentano i primi termini di una vasta quanto interessante ricerca da intraprendere facilmente per convincervi dell’esistenza di potenzialità assolute che si trovano negli oggetti proprio sotto i vostri occhi (non c’è nulla da temere sono testi accessibilissimi sia come significati sia dal punto di vista economico (dati importanti). Trasponendone i significati potrete concepire il valore e l’alto livello culturale dei modi diversi d’espressività artistiche e della materia che permette la comunicazione. Fisiologicamente sia per la velocità tecnologica sia perché l’attenzione è uno degli elementi che è più stimolato da ovvie necessità di sopravvivenza, ecco che sotto i nostri occhi, a differenza di quando passava troppo tempo tra una scoperta e la sua divulgazione, ci troviamo in un periodo in cui diventa comune la possibilità di nuove espressività e quindi l’evolversi di nuovi tipi di libertà individuali.I tipi realtà metropolitane che già un decennio fa incutevano orribili presagi di città dirette alla rovina; ebbene hanno dato spunto allo studio attento delle diverse realtà e dei bisogni culturali oltrechè sociali che, se analizzati e discussi nella maniera opportuna, possono determinare soluzioni appropriate per la nascita di nuove strutture capaci di attrarre interessi comuni e far nascere delle possibilità nuove di aggregazione. Le famose estensioni umane, di cui abbiamo sempre parlato, possono benissimo essere delle attività inglobate in strutture effimere o itineranti che non hanno bisogno di grandi finanziamenti e tempi lunghissimi di costruzione, ma che nascono laddove esiste una sensibilità attenta alle esigenze di quel luogo e soltanto di quello. Quindi pensate alle diversità che si possono cogliere in una stessa città rivalutando o generando confluenze nuove di partecipazione a bisogni comunitari (vedi:Ibridazioni – Le postazioni connesse, Ibridazioni – Le riconversioni funzionali). Prima o poi questa sembra sia una dalle strade percorribili dalle metropoli sollecitate dalla sicurezza e dal controllo continuo. Le telecamere aumentano il loro numero esponenzialmente, per controllare pezzi di realtà urbana, bene trasformiamo questa illusoria banalità in una forma d’arte e facciamo in modo che esse inquadrino segni, e composizioni artistiche, performance stradali annunciate, o iniziative sociali o postazioni che contribuiscono a stimolare la collettività alle diverse problematiche che la città stessa deve o dovrà affrontare. Solo le menti creatrici capaci di approfondire le loro analisi possono vedere in questo, una stimolante possibilità di emersione dei significati ancora nascosti dai centri storici, la multimedialità, e non la rete in sè, entrerà tutta in questo tema e sarà la variabile a cui daremo il primo valore per poi avere di seguito tutti gli altri. Guardiamo anche queste conclusioni come possibilità concrete; mille altri segni nasceranno e si evolveranno con noi nella città, cresceranno con noi e assumeranno sempre più l’aspetto e i significati vicini ad una maggiore comprensione del mondo all’uomo. La scala di ‘avvicinamento’ alla realtà quindi aumenterà a favore della percezione dell’esistente e delle esperienze innescando, quindi le sensazioni, le emozioni. La componente effettiva- affettiva dello spazio dell’uomo avrà valore ed è in queste relazioni che bisognerà, ancora una volta, rielaborare sistemi d’approccio all’ambiente ed ancora una volta sarà l’architettura a farci riflettere sui suoi scenari e sulle nuove possibilità di transito verso altre probabili identità. Nota diretedell’autore Riferimenti di rete per : Laboratorio nazionale di nanotecnologia dell’Università di Lecce, che fa parte dell’Istituto nazionale di fisica della materia (Infm). http://www.axiaonline.it/2001/biotech/ Rassegna_stampa/giugno_2001/rassegna_stampa0630.htm http://www.lighteducation.com/article.php?sid=163 http://robotica.mecc.polimi.it/maritacanina/corsi/progettazione/1esercitazione.htm http://www.unile.it/ateneo/news/dettaglio_comunicati.asp?giorni=0&ident=2125 http://www.enel.it/magazine/boiler/arretrati/boiler58/html/articoli/Bollitore-Infm.asp

La Redazione
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