Il paesaggio al di là del soggetto e dell’oggetto

Occorre una distanza perché si dia un paesaggio.

Per molto tempo su questo assunto teorico si è costruita tutta la riflessione intorno al tema del paesaggio.
Su questo argomento si sono di volta in volta interrogati pensatori che alla teoria del paesaggio hanno dedicato studi significativi: da Simmel a Spengler, da Heidegger a Junger, da Benjamin a Sternberger. Entro quell’orizzonte di analisi e di ricerche si è cercato di definire il possibile rapporto tra modernità e paesaggio che sarà poi il preludio all’individuazione del nesso tra arte e grande città che la cultura estetica del Novecento ha assunto come uno dei suoi motivi dominanti.
Per l’uomo propriamente moderno non è semplicemente la natura l’oggetto del paesaggio, ma la natura come oggetto a distanza.
La possibilità di guardare e ammirare un paesaggio si ha in virtù di uno spazio che si frappone tra lui e la natura e che è il frutto di una lacerazione rispetto al sentimento unitario della natura universale. Una lacerazione che coinciderà con il tramonto del mito e con il sorgere del mondo moderno caratterizzato dal senso dell’individualità.
Il paesaggio si produce e si origina nel momento stesso in cui le cose, gli oggetti, le forme acquistano un profilo, vengono cioè individualizzate. Perché vi sia paesaggio interiore ed esteriore è necessario che io colga, estragga o astragga da questo tessuto omogeneo alcuni elementi e li consideri privilegiati rispetto ad altri.
Il che significa che questi elementi vengono individualizzati così come viene individualizzato l’io osservante.
Nell’antichità e nel Medioevo non era presente il senso del paesaggio perché ancora non era avvenuto quel fenomeno di sradicamento, di dissoluzione dei legami originari che liberano l’uomo e lo definiscono come “individuo”.
Ma se la visione moderna del mondo nasce sulla distanza e il senso del paesaggio ne è il frutto più evidente lentamente sarà proprio quell’idea di separazione tra “io” e il “mondo”ad entrare in crisi.
La folla sarà uno dei grandi protagonisti della lirica metropolitana di Baudelaire forse il poeta che prima di altri avverte la crisi della distanza e che porra’ l’eleganza del dandy come ultimo baluardo all’eccesso di stimoli della vita moderna.
Successivamente Ortega y Gasset negli anni trenta scriverà i suoi testi un po’apocalittici, un po’ profetici sul fenomeno del pieno, dell’agglomerato, della densità.
In un ambito denso,in uno spazio saturo, tutto colpisce, tutto invade, tutto è prossimo.
Ricavare un anfratto in cui sia possibile la visione a distanza diviene sempre più difficile.
Ciò che stava entrando in crisi era quella visione antropocentrica del mondo che definiva il soggetto come supremo attore della conoscenza.
Gli empiristi immaginavano il sapere come unicamente modellato dall’esperienza.
Pensavano che il mondo esterno inscrivesse le sue regolarità sulla tabula rasa della mente.Contro l’empirismo, Kant aveva accordato un posto preponderante alle strutture trascendentali del soggetto conoscente. Secondo il filosofo, l’esperienza stessa è organizzata dalle categorie del soggetto.
Per qualificare la rivoluzione che egli pensava di aver compiuto nella filosofia, Kant la paragonava alla rivoluzione copernicana: era ormai intorno al soggetto che girava il problema della conoscenza.
Ridefinire oggi i limiti del tema del paesaggio significa accettare la crisi della distanza rivedendo la distribuzione dei ruoli tra soggetto ed oggetto.
La psicologia contemporanea e la neurobiologia hanno certamente confermato che il sistema cognitivo umano non è una tabula rasa. La sua struttura e i suoi differenti moduli specializzati organizzano in modo stringente le nostre percezioni, la nostra memoria e il nostro ragionamento. Ma noi articoliamo gli apparati specializzati del nostro sistema nervoso esperienze, dispositivi di rappresentazione e di trattamento dell’informazione esterni.
Fin dalla nascita, il piccolo uomo pensante si costituisce per mezzo di lingue, macchine, di sistemi di rappresentazione e di oggetti che strutturano profondamente la sua esperienza. Ma l’intelligenza e la cognizione sono anche l’effetto di un collettivo più ampio, sono l’effetto di reti complesse in cui interagiscono un gran numero di attori umani, biologici, tecnici e oggettuali.

Occorre una distanza perché si dia un paesaggio.
di Michele Manzini