Architettura liquida

C’è chi lo ritiene un architetto «populista» e chi il genio dell’architettura contemporanea. Ma sia chi non lo vede di buon occhio, sia chi lo apprezza, sa che Frank Owen Ghery è l’architetto che ha donato all’Architettura una nuova fiammata di popolarità.

Mi spiego: Prendiamo ad esempio il Museo Guggenheim: Esso rappresenta il “monumento oltre il museo”. Da anni gli abitanti di tutta Europa si affannano per trovare biglietti aerei e treni che li possano portare a Bilbao. Ma per vedere cosa? Bilbao è una bella città, industriale certo, ma che offre molto. Eppure dal 1997 [anno dell’innaugurazione del Guggenheim] migliaia di persone si affollano, non all’entrata del museo, ma all’esterno. Per ammirare la lucentezza dei pannelli in titanio, le curve sinuose e gli slanci verso l’alto che hanno reso familiare l’edificio al grande pubblico.
Certo Gehry non è da apprezzare solo per questo, ma il rilancio dell’architettura verso il grande pubblico non è cosa da poco. Chiunque guardando un edificio dell’architetto americano può capire che non si tratta di una costruzione qualunque.
Gehry ha sovvertito le regole canoniche del fare architettura, da quando la sua attività ha preso la svolta decisiva verso la sperimentazione, ha sempre sottolineato che le sue creazioni si rivolgevano alla vita moderna. La società è cambiata e con essa doveva cambiare il modo di progettare le strutture che la accoglievano ogni giorno. Ora questo è accaduto con Gehry. La nostra è una società complessa e con relazioni complesse, perciò gli edifici configurano forme complesse.

Sebbene gli edifici dell’architetto di Toronto siano delle vere e proprie provocazioni, questi risultano stupefacentemente funzionali [nel limite del possibile – date le forme assai irregolari] contrariamente a quanto l’involucro suggerisce.

Se in passato la conquista dell’architettura era, dopo essersi affiancata al mondo delle macchine [emergenti in quel periodo], di cercare di costruire “Macchine per abitare” che rispecchiassero i tempi (crescente uso dei prefabbricati e edifici costruiti sulla base di uno “scheletro” di pilastri e solai comune a tutti e sul quale potessero essere disposti i tramezzi in modo autonomo), ora questo bisogno di rispecchiare la società sembra non essersi perso.

Gehry dopo poco più di 60 anni, continua il confronto tra architettura e società, evidenziando in modo chiaro, quali progressi il mondo delle costruzioni abbia fatto, e quali infinite possibilità lasci ai progettisti.

I suoi sono progetti che si pongono in conflitto con il luogo, disorientano il visitatore poiché non hanno proporzioni, non hanno “materia”, non rispettano le regole della geometria classica, non hanno corrispondenza tra ciò che comunicano all’esterno e ciò che contengono.

In definitiva non sono facilmente decifrabili, ma rappresentano l’architettura che vuole la gente che in questa si riconosce. Un’architettura scenografica, che sbalordisce e che in poco tempo è divenuta un marchio di fabbrica. Un’architettura “alla Gehry“.

La Redazione
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