Insostenibili Leggerezze

 

 



E’ quanto mai sorprendente la differenza che c’è nel camminare in una metropoli come Roma, in un giorno lavorativo, oppure in un giorno festivo. Tutto cambia nei giorni di non lavoro. A cominciare dalle persone: turisti, stranieri soprattutto, con abbigliamento, colori, andature, accessori, cibo, mappe, diversi dai nostri. Anche i ritmi e le velocità dei movimenti degli individui sono differenti, tutto è umanamente lento, senza fretta, senza lancette su un quadrante. C’è più luce, poichè mancano le ombre degli ingombri del traffico settimanale, l’aria è meno pesante e respirabile e riesci finalmente a distinguere l’eau de toilette di una francese in vacanza in Italia, dal tabacco dell’americano che incroci nel tuo incedere. Arrivi a sentire anche i gabbiani che, ormai esuli da spiagge antropizzate, hanno colonizzato le rive del Tevere e gli attici più alti. Non sei più costretto a passare su uno stretto marciapiede e puoi occupare il centro della strada, per una foto che in altri giorni sarebbe stata pericolosa, anzi impossibile. Per una volta non guardi i negozi, chiusi, alzi lo sguardo su palazzi che in realtà non avevi mai visto, senti il desiderio di guardare il cielo e quel nastro di colore blu chiaro ed intenso che arriva solo oggi ad illuminare il grigio dell’asfalto Sembra quasi che sia la città stessa ad essere cambiata, viste le tue accresciute proporzioni in rapporto ad essa, le sensazioni così insolite che suscita, la sua essenza che riesce finalmente ad entrare nella tua percezione, ora che l’urbano si lascia finalmente ammirare nel suo bagliore.

Lo scopo della mia passeggiata romana in realtà era la visita ad una bella mostra al Vittoriano, il tanto amato ed odiato, bianco, edificio. Ed è tra i vari e frequenti scatti che mi sono imbattuta nel leggero, trasparente, aereo, ascensore di vetro. E’ talmente ben nascosto che l’ho notato solo quando sono scesa dalla scalinata dell’Aracoeli, lì incastrato in un pezzo di blu, tra la chiesa rossastra ed il bianco colosso, uno pseudo cilindro così fragile che è come protetto dai due giganti che gli sono di fianco. E’ stato installato da poco  e ora ci accorgiamo che è stato commesso qualche errore di valutazione, di impatto ambientale certo, ma aggiungerei anche economico. Si sente adesso l’esigenza di sostituirlo con una struttura meno “invasiva”, di smontarlo e togliere così quel segno del 2007 seminascosto tra la massiccia consistenza millenaria della chiesa e la mania di chiara grandezza del palazzo di fine ottocento. Certo è stata una scelta discutibile, che ha richiesto impiego di non indifferenti risorse, ma certamente andava meditata, comunicata, discussa prima, prefigurando e considerando quanto sarebbe stato traumatico il processo di cicatrizzazione dell’intrusione di quel corpo estraneo. Un corpo vuoto, che viene delegittimato anche della necessità della sua unica funzione utilitaristica, visto che siamo pronti a farne anche a meno, e ciò che avevamo apprezzato come leggero, improvvisamente rivela ora un suo peso. Il “peso” del vacuo, come quello delle piscine  non realizzate in tempo per gli i mondiali di nuoto a Roma, o il polveroso “più nulla” che dal 6 aprile 2009 è al posto di case, ospedali, scuole, in una città atterrata a cui è stato infranto il suo regale portamento.

Nel periodo del finalmente e giustamente trendy, dell’approccio e realizzazione eco-sostenibile dei nostri progetti, possiamo permetterci e giustificare qualsiasi dispendio di energie e risorse ?  La radice  eco per avere senso con il suffisso, non dovrebbe forse avere la doppia valenza eco-logico/nomico ?
Necessitiamo forse di quel “…binario strutturale da ‘costruire’, formato dai  due binari dell’ecologia della bellezza e da quell’economia che può nascere solo della conoscenza delle realtà territoriali, …. e sottolineando, nel contempo, la sua evidente ed eccezionale “alta sostenibilità”.(1)

E’ forse questo l’effetto del costruire “secondo un’architettura mancante d’ogni fine”, . (2) nata solo da una istanza apparente e slegata dall’immanenza del contesto, architettura costruita intorno a .. un vuoto, un vuoto che fagocita, ingloba e spinge in spazi interni dilatati, giganti, in cui è facile perdersi.

I rapporti spaziali fisici tra gli esseri e le cose si dissolvono al punto di rinchiudere ciascuno di noi in un continuum spaziale indifferenziato, privo dell’Altro (se non virtuale) o al contrario in un terreno sparpagliato sprovvisto di senso, corredato di oggetti architettonici solipsisti..” (3)

Negli spettacolari fotorendering dei progetti che saranno realizzati nei prossimi anni, affascinano le continue superfici, lisce, luminose, raffinate, altere, che, ermetiche, non rivelano il loro enigmatico interno, anzi lo dissimulano, e a terra, si aprono solo in quelli che appaiono come dei narniani varchi, delle stargates di imbarco per mondi altri, fantastici, alternativi, passaggi per dislocazioni repentine. Siamo come attirati da una promessa che presto vedremo qualcosa di inatteso che non possiamo ancora indovinare, ma che certo ci affascinerà. Oggetti appoggiati su un suolo nel quale sembrano non penetrare, perchè in fondo, loro sono lì per caso, come di passaggio, dimenticati da un viaggiatore distratto, o dalla corrente marina che li ha desolatamente abbandonati a riva. Astronavi in contingente avaria, in silenziosa attesa di riparare il guasto nascosto nel chip più recondito del computer di bordo.

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A tempo determinato, veloce, almeno a parole, siamo trascinati nella realizzazione frenetica di nuovi musei, padiglioni espositivi, città dello sport e del divertimento, dove spendere e consumare il nostro tempo, nella visione dromoscopica, di una arancione, zucca diffèrente, che solo per poche fiabesche ore viene tramutata in carrozza. Poi, dobbiamo affannarci, cercare, percorrere tutte le strade, provare e riprovare, per poter capire e rimediare a quella che è stata l’evanescenza fatale durata solo fino a “mezzanotte”. Allora sarebbe meglio cominciare ad entrare nella visuale progettuale suggerita da Rem Koolhaas, che per Seul, realizza padiglioni smontabili in 20 minuti. “Il Transformer non è nato per promuovere l’azienda – ha puntualizzato la committente -, è un’idea che ho portato avanti io con Koolhaas, nell’ottica del mettersi in moto e cambiare da cui dipende la modernità “

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Appena un paio di anni fa, ci trovavamo di fronte ad una “architettura involucro, ..tessuto, trama, che perde la sua concretezza volumetrica, si rarefà. ..superfici leggere, vetrate impalpabili”(4) . Ma ci troviamo già in una inversione di tendenza ? Nella chiesa di Foligno, appena inaugurata, come negli esempi sopracitati, l’unica apertura della facciata è la mancanza di pieno in corrispondenza dell’attacco a terra di un enorme parete, un maxischermo spento, che comunica la sua impossibilità di emettere segnali. Volumi puri, concentrati nell’atmosfera mistica degli interni, nei quali entriamo attraverso una fascia vetrata che riflette lo spazio aperto circostante e ci dà l’illusione ottica di entrare nel paesaggio invece che in uno spazio chiuso. Superfici larghe e compatte che impediscono di vedere il cielo l’azzurro e le nuvole.

L’architettura “pendola” da un eccesso ad un altro, oscillando alla ricerca di una consistenza sensata. In modo analogo alle vicende della nostra globalizzata “new economy”, i cui disastrosi effetti stiamo ora scontando, in balia del disorientante ma eccitante moto ondulatorio, può cominciare un divenire in nuove essenze narrative, che tornino ad emozionare i viaggiatori nelle città.

Nelle analisi della fine del secondo millennio, dovendo spiegare come potesse l’economia italiana degli anni sessanta e settanta reggersi in piedi, e non trovando una teoria adeguata, alcuni economisti fecero ricorso al paradosso del coleottero che, come l’Italia, non potrebbe volare non avendone le doti fisiche, ma poiché non lo sa, vola lo stesso. Credo che uno spietato, ma quanto mai saggio, sensibile, adorabile, spione sia andato a spifferare tutto al povero ed ignaro coleottero che ora si trova a fare incredibili calcoli di “ingegneria aeronautica” pur di tornare a spiccare un nuovo entusiasmante volo .

 

Nelle immagini:

Burnhan Pavilion – Chicago – USA
Ascensore del Vittoriano – Roma – Italia
Regium Waterfront – Reggio Calabria – Italia
Betile – Museo mediterraneo dell’arte nuragica e dell’arte contemporanea –    Cagliari -Italia
The Khan Shatyry Entertainment Centre – Astana – Kazakhstan
Padiglione Transformer – Seul – Corea
Nuova Chiesa – Foligno – Italia

Note:

1) Dall’intervento di Paolo Marzano al dibattito televisivo su Telestudio 100 – Anno 2008

2) Libere percezioni o rapporti di minoranza ? – Paolo Marzano Pubblicato sulla rivista “Experience” n.10 – Edizioni sperimentali Mattioli – Anno 2006

3) Il tempo della trasformazione. Corpi territori e tecnologie. -Tiziana Villani – Manifesto libri – Anno 2006

4) Contro l’architettura – Franco La Cecla – Bollati Boringhieri – Anno 2008

 

link attinenti :

Fughe …metropolitanePaola D’Arpino –  dicembre 2004

Insostenibili …leggerezzePaola D’Arpino –26 – 04 – 2009

Silicio e cristalliPaola D’Arpino –  marzo  2011



PAOLA DARPINO
Paola D'Arpino si è laureata alla I Facoltà di Architettura "L.Quaroni" dell'Università degli Studi “La Sapienza” di Roma nel 2005, con la tesi "Progetto di Parco Pubblico Urbano ed Impianti Sportivi nell'area della stazione Prenestina di Roma" Alla ricerca teorica affianca l'attività professionale che svolge dal 2007.