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I 3 GRATTACIELI    di    CityLife

 

“L’architettura è prevalentemente una materia ‘unta’ (vocabolo da intendere nelle diverse e obbligatorie accezioni) di quotidiano. Essa è caratterizzata da diverse componenti linguistiche e progettuali come la sublime trasparenza, la severa luminosità, poi, l’intrigo formale giunge a compromessi con essa e definisce le ombre quindi i volumi. Il colore dei materiali d’elezione propriamente naturale (è chiaro), ma una cosa è fondamentale, secondo me, da tenere in considerazione; tali architetture, sono sollecitate o dinamicamente ‘smosse’, progettualmente istigate e provocatoriamente realizzate da un’operatività basata sullo studio e la ricerca,da ambiti teorici, terminologici, metaforici, costituenti una base di esperienze fenomenologicamente vitali.”

“Di un oggetto, lo spazio com-prende , avvolgendolo, la luce i colori le proiezioni nell’intorno. Il tempo a sua volta traduce quest’aura ‘oggettuale’ in un’opaca storia di ‘assorbimento’ del luogo.” (1)

 




“Se avesse potuto comunicare così, oggi che mondo sarebbe ?” Questo è l’interrogativo che ci lascia sospesi uno spot di questi giorni. E’ una domanda retorica, la risposta in realtà è implicita, “Certo che sarebbe migliore !” decreta il pubblicitario. Eppure qualche dubbio sarebbe opportuno conservarlo. Un dubbio emerge proprio dall’inganno del video proposto: la virtuale restituzione alla comunicazione di un individuo-simbolo scomparso. Inganno è, inoltre, il castello della visione di un auspicabile mondo migliore che la contrastante realtà che viviamo, demolisce e fa crollare in un polverone misto di tragiche reminescenze. Il migliore dei mondi possibili lo immaginiamo, lo vediamo, lo “viviamo” negli effimeri istanti dello spot, ma al termine si rimane con l’amara sensazione che quella possibilità l’abbiamo già persa. Dal mondo sbiadito black & white della ministoria torniamo bruscamente al cromatico quotidiano. Tra le tante considerazioni, emerge un paradosso: il simbolo della pace, della non violenza, viene proposto, scelto e “sbattuto” involontariamente (non ha certo potuto dare il suo consenso !) in una pubblicità. Una forma di violenza, anche se posticipata rispetto alla vita dell’individuo. Ed ecco che il velo aureo viene sollevato e questo presente mondo delle comunicazioni cade in contraddittorio dimostrando, nell’attimo stesso in cui si pavoneggia, che non ha creato affatto un mondo migliore.

Uno spot intende ovviamente comunicare un messaggio e insinuare un suggerimento per il fine ultimo di spingerci ad un azione di carattere commerciale, fini che fortunatamente sono ben lontani da quello che è il settore della progettazione architettonica.

Ma l’informazione oggi caratterizza anche l’architettura e “la pratica multimediale nel campo della ricerca architettonica ci sta allenando alla scoperta di possibilità nuove e di spazi virtuali alternativi”. (2) E la domanda ritorna, proposta però per quella che è la “proiezione solidificata dell’arte nella vita degli uomini”, ovvero l’architettura : “Che mondo è, oggi che comunichiamo così ?”. Cosa “comunica” il grattacielo curvato, deformato come da una oscura forza orizzontale che LibesKind ha proposto per Milano ? Forse un messaggio analogo a quello dello spot di cui abbiamo parlato. Se anche in questo caso c’è una sorta di latente inganno credo dipenda dalla sensibilità, o meglio dalla percezione che ne riceve ognuno di noi che è anche legata alla individuale sensibilità. Ma soffermiamoci su questo ultimo aspetto. Cosa prevale nella percezione del corpo architettonico del grattacielo di LibesKind ? Nelle presentazioni che vengono fatte sui quotidiani relative al progetto leggiamo “La decostruzione di Daniel non è smontaggio strutturale e la forma del suo grattacielo non è un’astrazione ….(il grattacielo) è straordinariamente curvo con il lato concavo rivolto a nord completamente vetrato l’altro lato a sud è il primo grattacielo in cui la metà della superficie si fa ombra. Questa forma concava crea la sua piazza e la sua acustica. …si è ispirato alla pietà Rondanini …e a un edificio curvo nel progetto irrealizzato da Terragni proprio per la Fiera.” (Da l’Eco di Bergamo del 9 luglio 2004). Ma cosa arriva più immediatamente al nostro sentire ? In questo caso prima della funzione, prima delle relazioni con il luogo, o con i suoi due corpi “simili”, prima di tutto il resto, arriva una soggettiva sensazione che per quanto mi riguarda è di “sofferenza”, la sofferenza di un corpo piegato, spinto, indotto ad una “postura” al limite dell’equilibrio. Ma la metafora che emerge, aldilà dei molteplici significati, è senza ombra di dubbio, di saldissima potenza. Una potenza comunicativa che deriva in buona parte dalla progettazione tecnologica e dall’intrinseco valore comunicativo che de-forma il corpo architettonico. Questa architettura è certo sollecitata e dinamicamente smossa, probabilmente più da ambiti teorici, terminologici, metaforici che arrivano a prevalere nella nostra percezione, ma è indubbiamente un segno, anche se duro, di questo decennio.

Certo la sferzata di Eisenman  sul panorama della produzione architettonica contemporanea deve appesantire i nostri passi di una maggiore consapevolezza della strada che stiamo percorrendo: “Non sono affatto convinto che questo sia un periodo eccezionale per l’architettura, come tutti sostengono. Penso, piuttosto, che siamo presi dalle magie del computer, dalla suggestione che un progetto può esercitare al di là della sua intrinseca qualità e dallo star-system che si è imposto recentemente. Per essere chiari, sono contro l’architettura-spettacolo che oggi imperversa… Per me, crea passività e alimenta un circolo vizioso: più questa architettura è spettacolare e più deve diventarlo, in una sequenza senza fine. Ma è davvero grande architettura?”

Dubbi alla cui soluzione necessita il maturarsi del “passaggio” e l’attuazione del relazionarsi col tempo ed il suo intorno, espressione di quella sublime transitorietà che lega i corpi architettonici, il tempo e lo spazio.

Dovevo svegliarmi. Non capivo che cosa stesse accadendo.  Il Piano era vero ?  Che assurdità, lo avevamo inventato noi.” (3)

 

Paola D’Arpino     23 – 09 – 2004 *

 

(1)  da “Sublimi transitorietà” di Paolo Marzano

(2) (da Déjà vue d’architettura di Paolo Marzano)

(3) da “Il pendolo di Foucault” di Umberto Eco

* L’articolo, scritto in occasione della presentazione dei progetti nel 2004 viene qui ripubblicato in concomitanza della comunicazione dell’inizio cantiere di uno dei 3 grattacieli, quello “dritto”, gli altri 2 sono stati rinviati al 2012.

 

Immagini :

Rendering dei 3 grattacieli di CityLife

Spot “Che mondo sarebbe ?”

Plastico


PAOLA DARPINO
Paola D'Arpino si è laureata alla I Facoltà di Architettura "L.Quaroni" dell'Università degli Studi “La Sapienza” di Roma nel 2005, con la tesi "Progetto di Parco Pubblico Urbano ed Impianti Sportivi nell'area della stazione Prenestina di Roma" Alla ricerca teorica affianca l'attività professionale che svolge dal 2007.